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Rilasciate il titolo di soggiorno

Giovedì 22 dicembre in piazza Pasi a Trento si è svolto un presidio contro il razzismo in solidarietà con gli immigrati, vittime di una violenza razzista che, come nel caso di Firenze, si è trasformata in violenza omicida. Rosarno, Roma, Torino e Firenze sono le punte più violente di una cultura razzista che cova, in forme più succubi ma poer questo non meno pericolose, anche all’interno delle nostre istituzioni.
Il trattamento riservato ai migranti fuggiti dalla Libia in guerra ne è la più netta dimostrazione sul come l’applicazione burocratica delle norme comporti nei fatti una situazione di discriminazione nei confronti di molti migranti costretti a fuggire dalla guerra e hanno cercato asilo in Italia.
Una denuncia viene da un appello a firma di molte associazioni che operano nel volontariato in Trentino e che pubblichiamo per richiamare tutti ad una riflessione sui temi del razzismo e della xenofobia che in questa situazione di crisi rischiano di prendere piede nella coscienza di molti cittadini.
La redazione

Rilasciate un titolo di soggiorno a chi chiede asilo e arriva dalla Libia     

Le associazioni, i gruppi, le persone che, in diversi modi, hanno in questi mesi accompagnato il percorso di accoglienza in Trentino dei richiedenti asilo fuggiti dalla Libia, preoccupati per la grave situazione che si sta creando, rivolgono un appello alla società civile e alle autorità, alle amministrazioni provinciali e comunali,all’associazionismo,alle organizzazioni politiche e dei lavoratori, ai raggruppamenti religiosi e al mondo del volontariato, affinché si mobilitino per chiedere la concessione di un titolo di soggiorno umanitario alle centinaia di persone che, pur fuggite da una guerra, si vedono respinta la domanda di asilo e si ritrovano precipitate nella condizione di clandestinità.
Come si ricorda anche nella petizione di Melting Pot che ha già raccolto in tutta Italia adesioni dal mondo del volontariato, della politica e delle parti sociali, e che invitiamo a sottoscrivere, il dramma dei profughi fuggiti dalla Libia sta entrando in una fase ancora più drammatica. 25mila persone fuggite dal conflitto in Libia hanno chiesto asilo in Italia, ed anche in provincia di Trento le istituzioni locali e la rete dell’associazionismo e del volontariato hanno garantito condizioni di accoglienza efficaci e rispettose della dignità delle persone. Ma le apposite Commissioni che esaminano le domande di asilo stanno rispondendo in maniera massiccia con un diniego. Le decisioni di diniego sono fondate su un teorema molto semplice: se è vero che la guerra in Libia costituisce un motivo di fuga, la domanda di protezione viene valutata invece in base alla nazionalità dei richiedenti asilo, e quindi valutando persecuzioni e rischi eventuali nel paese d’origine. E poiché in grandissima parte non sono libici – tranne un centinaio di persone – i profughi della guerra di Libia giunti in Italia non vedono accolta la loro domanda di asilo, con l’eccezione di somali ed eritrei, che non possono essere espulsi per la situazione critica dei loro paesi. Tutti gli altri perlopiù hanno ricevuto o stanno ricevendo il diniego e, pertanto, devono tornare nel loro paese d’origine, da cui in alcuni casi mancano anche da una decina di anni. I ricorsi, molto onerosi, non saranno comunque in molti casi sufficienti, così, dopo aver subito la violenza delle torture libiche o la minaccia dei bombardamenti, migliaia di persone rischiano la clandestinità, la condizione di “non-persona” condannata all’invisibilità e all’emarginazione, allo sfruttamento anche da parte dei circuiti della criminalità.
Un destino non giusto né inevitabile perché esistono soluzioni alternative compatibili con le leggi nazionali ed internazionali e rispettose della dignità delle persone.
Per questo, chiediamo l’immediato rilascio di un titolo di soggiorno umanitario attraverso l’istituzione della protezione temporanea o le altre forme previste dall’ordinamento giuridico.
Per questo, invitiamo ad una serie di assemblee pubbliche ed incontri coinvolgendo anche chi in tutto il territorio trentino si è speso nel percorso di accoglienza dei richiedenti asilo, percorso che se non si interviene subito sarà stato del tutto vano.
Una questione di dignità, di democrazia e di giustizia.

Associazione Babilonia, Rovereto; Associazione Girella, Rovereto; Associazione LIMEN, Trento; ATAS onlus; Caritas diocesana di Trento; Centro Astalli Trento; Centro sociale Bruno; Comitato delle Associazioni per la Pace e i Diritti Umani di Rovereto; Comitato Non laviamocene le mani; Cooperativa Città Aperta; Cooperativa Villa S. Ignazio; Fondazione Comunità Solidale; Gruppo Emergency di Rovereto; Gruppo Raab; Osservatorio Cara Città, Rovereto, Punto d’Approdo; Tam Tam per Korogocho; Tavolo Trentino con Kraljevo; Volontari in Strada; Volontari per l’Emergenza Nord Africa.

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Acqua: In 100.000 contro le privatizzazioni

Sono 100 mila, secondo gli organizzatori, i manifestanti che oggi partecipano a Roma al corteo per “chiedere il rispetto dell’esito dei referendum sull’acqua”. All’iniziativa, organizzata dal Forum dei movimenti per l’acqua, partecipano diverse realtà dell’associazionismo e in testa, dietro lo striscione ‘Ripubblicizzare l’acqua, difendere i beni comunì, sfilano anche i sindaci di alcune città come Napoli, Giulianova, Corchiano, Monterotondo, Nola, Palma Campania e Villa Castelli. Al corteo anche tanta ironia ed esibizioni goliardiche, con manifestanti travestiti da Robin Hood, che sfilano tra la folla dove, su un camioncino campeggia uno striscione: ‘Togliere ai ricchi per dare a tutti, l’acqua non è un debitò.

La manifestazione è anche l’occasione per il lancio della campagna di obbedienza civile ‘Il mio voto va rispettato’” con la quale i comitati invitano i cittadini a rimodulare le tariffe dell’acqua laddove questa non venga gestita pubblicamente.

Dal sito di Radio onda d’urto

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Le voci di chi vive con 800 euro al mese

Antonio, Marta e gli altri. Da tutta Italia per raccontare storie di ordinaria cassintegrazione

ROMA. Le tute blu della Fiom tingono di rosso piazza del Popolo. Sono arrivati da tutt’Italia per rivendicare diritti e lavoro, gli operai della Fiat e di Fincantieri, riuniti ieri nella capitale in un sit-in che è durato tutta la mattina.
A susseguirsi sul palco tutti gli operai degli stabilimenti coinvolti nella mobilitazione. da Termini Imerese, dove a oggi non si conosce ancora il destino dei lavoratori (la Fiat ha stabilito che lascerà lo stabilimento siciliano a partire dal 31 dicembre), agli operai dell’Irisbus di Grottaminarda, che da più di cento giorni sono in mobilitazione permanente. Da quelli di Mirafiori e di Melfi fino a giungere a Pomigliano.
Ecco alcune loro voci. «Lavoro alla Magneti Marelli da 11 anni, per adesso non ho fatto ancora un giorno di cassa integrazione e per questo mi ritengo un privilegiato. Non so ancora per quanto. È difficile vivere con 800 euro al mese e se a questo aggiungi una famiglia, dei figli da mandare a scuola e le rate del mutuo, il mio futuro è a tempo determinato.
Viviamo in una fase di crisi solo che non capisco perché a pagare, scelte che spesso si rivelano sbagliate, debba sempre essere chi lavora». Uno sfogo che è unanime. La delusione e la rabbia si mescolano sulla faccia dei presenti, come quelle di due operai dell’indotto Fiat. Per anni hanno prodotto tergicristalli per le auto del Lingotto, adesso uno è in cassa integrazione a zero ore, l’altro è in pensione ma ha scelto comunque di essere in piazza. «Non lavoro più in fabbrica, ma per più di trenta anni ho dato la mia vita per questo stabilimento. Oggi difendo la democrazia, è per questa ragione che ho scelto di essere a fianco dei miei compagni».
Lì chiama così. Antonio, compagni come il suo caro amico che da più di tre mesi è in cassa integrazione a zero ore. «Il male di questo paese è non solo chi governa, che concede regali alla Fiat come l’articolo 8, ma anche chi sceglie di firmare accordi come le altre sigle sindacali». Anche loro sono indignati e per questo hanno scelto di muoversi dalla Campania e arrivare fino a Roma, così come hanno fatto sabato, non per devastare e bruciare ma per far sentire la loro voce e indignazione.
Un mobilitazione che chiede certezze e garanzie sul futuro, quello che come dice un operaio di Fincantieri , «sembra incerto. Noi però non ci rassegneremo. Saremo presenti ovunque anche nel più piccolo degli stabilimenti perché il lavoro è un diritto e la possibilità di difenderlo non è oggetto di contrattazione».
Dello stesso parere è Marta, delegata Fiom, che difende le Rsu e il diritto di chi lavora ad essere rappresentato: «Vogliono toglierci la democrazia e renderci schiavi, ma noi resisteremo e difenderemo in ogni luogo i nostri spazi, in primis il contratto collettivo nazionale».

Dino Collazzo – IL MANIFESTO del 22 ottobre 2011

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Indignati: Non ci fermeranno

La manifestazione di ieri a Roma che ha portato in piazza centinaia di migliaia di lavoratori, studenti, disoccupati, pensionati, casalinghe, cittadini comuni. Una manifestazione che ha visto marciare assieme, pacificamente, il popolo dei referendum, che hanno portato in piazza la lor determinazione nel chiedere il rispetto del voto popolare, ai terremotati dell’Aquila che chiedevano giustizia e la ricostruzione della loro città devastata fisicamente dal terremoto e politicamente dalla corruzione.
I NO TAV che gridavano “Giù le mani dalla Valsusa” “Solo noi vogliamo decidere il destino nostro e del nostro territorio”.
Insomma nonostante i timori della vigilia, purtroppo divenuti realtà, il popolo degli indignati ha organizzato una grande manifestazione fortemente determinata nei contenuti e negli obiettivi politici a partire dal rifiuto di pagare il debito e della necessità di avviare dei “cantieri” per costruire una vera alternativa politica alla linea della BCE.
Una partecipazione che nemmeno gli stessi organizzatori si aspettavano ma che nello stesso tempo ha creato una grande paura nei palazzi dei poteri e della politica italiana. Questa manifestazione oceanica doveva essere fermata.
Io credo che le violenze, inaccettabili e che abbiamo condannato fin da subito, devono essere lette anche sotto questa lente.
Infatti, troppe le coincidenze “casuali” per non pensare ad un’azione organizzata a tavolino dai forze reazionarie per spaccare la schiena a questo movimento che stava diventando la vera alternativa ad un governo inetto, servo, incapace, proteso verso gli interessi del suo padrone e per pericoloso per la stessa democrazia.
Genova aveva dimostrato che la violenza organizzata utilizzando i “famosi” “Black Bloc” che hanno svolto “egregiamente” il loro compito di distruggere dall’interno questo “pericoloso” movimento che metteva in discussione i pilastri del liberismo e i diktat della BCE.
Questi gruppi organizzati che hanno deciso di alzare il livello dello scontro, forse non erano tutti provocatori, sicuramente gli organizzatori hanno trovato terreno fertile fra molti giovani che si rifanno alle manifestazione dei mesi scorsi della Grecia o dell’Inghilterra.
Ma questa pericolosa miscela fra provocatori e giovani incazzati non può sminuire che siamo davanti ad un disegno preciso di destabilizzazione del movimento e del tentativo, peraltro ripreso dalla stampa di destra, di assimilare il dissenso alla violenza di piazza, con il solo scopo di giustificare le malefatte di un governo al servizio della Troika europea.
Non ritengo che sia un caso il fatto che le azioni violente sono iniziate appena dopo un’oretta che il corteo scivolava da piazza della Repubblica a via Cavour. Insomma, subito, perché perché tanta era la gente che il fiume di persone ha sfilato per almeno tre ore e che doveva essere fermata.
Come non è un caso che abbiano devastato un negozio di frutta anziché la gioielleria vicina, come non sono state isolate le azioni messe in campo dai manifestanti per cacciare i provocatori fuori dal corteo. Azioni che spesso ha visto la polizia come osservatrice anziché intervenire per isolare i violenti dall’interno del corteo. Le stesse cariche iniziate in fondo a piazza S. Giovanni non sembravano finalizzate a separare i violenti dal corteo pacifico ma quello di spingere tutti all’interno della piazza per “colpire” il movimento, naturalmente assieme ai violenti.
Come ci porta a riflettere il comportamento delle forze dell’ordine: Tranquilla e discreta per una gran parte del corteo, mentre nella piazza di arrivo del corteo si sono registrati dei veri e propri “caroselli” che hanno permesso “ spinto”i volenti ad impossessarsi “politicamente” del punto di arrivo della manifestazione.
Su questo sono convinto che nei prossimi giorni tutto il movimento saprà interrogarsi su eventuali errori organizzativi e su come proseguire la lotta contro il liberismo economico, contro i diktat della Torika e per costruire l’alternativa alle logiche capitalistiche. Come movimento non possiamo permettere che i grandi ideali degli indignati mondiali siano oscurati e cancellati da una violenza inaccettabile e reazionaria.

Ezio Casagranda

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Anche Filcams e Fiom a Roma il 15 ottobre

Grasselli (Fiom) e Caramelle (Filcams): «È un movimento contro il sistema economico che salva le banche e fa fallire gli Stati e il loro welfare».
Ci saranno anche Fiom e Filcams del Trentino alla manifestazione del 15 ottobre a Roma, quando la Capitale diventerà uno dei nodi della rete internazionale di mobilitazione contro le politiche di austerity, di riduzione dei diritti e di taglio alla spesa pubblica inaugurate dai Governi di moltissimi Paesi per far fronte alla crisi del debito sovrano. I sindacati delle lavoratrici e dei lavoratori del metalmeccanico e del commercio organizzeranno anche una serie di pullman per chiunque dal Trentino volesse scendere a Roma e partecipare alla manifestazione.
Per le prenotazioni è sufficiente contattare l’ufficio accoglienza della Cgil del Trentino telefonando al numero 0461 303911.
Le partenze sono fissate sabato 15 ottobre alle ore 5 del mattino dal piazzale ex Zuffo a Trento e alle ore 5.30 dal casello A22 di Rovereto Sud.
In una conferenza stampa, i segretari generali di Fiom e Filcams, Roberto Grasselli e Roland Caramelle, hanno ricordato come quella di sabato 15 ottobre sarà una giornata di mobilitazione globale. «Sta nascendo un movimento – hanno spiegato all’unisono Grasselli e Caramelle – che radicalizza la critica al sistema economico, un sistema che salva le banche ma rischia di far fallire gli Stati e con essi i sistemi di protezione sociale e la democrazia. Sabato a Roma, come in tutte le altre piazze d’Europa e del mondo, si incontreranno giovani e lavoratori per chiedere con forza una società diversa e più giusta, un nuovo modello di sviluppo».
E se le politiche di austerity e di taglio alla spesa sociale accomunano ormai i diversi Paesi alle prese con la riduzione del debito, in Italia la situazione si fa addirittura drammatica. «È a rischio la democrazia – denunciano i segretari di Fiom e Filcams – perché le politiche economiche non sono in mano al Parlamento eletto dal popolo, ma alla Bce e al Fmi. E a complicare tutto c’è un governo che punta a concedere alle imprese mano libera, attaccando i diritti dei lavoratori, garantendo la libertà di licenziamento e mettendo in soffitta il contratto nazionale, mentre banchieri e imprenditori sfruttano la crisi per speculare e per garantirsi i propri privilegi».
Per i due sindacalisti, però, i nodi stanno arrivando al pettine. Ne sono testimonianza il successo dello sciopero generale della Cgil del 6 settembre scorso e le tante mobilitazioni che stanno nascendo in Italia nel silenzio di media e governo: dalle lotte degli operai di Fincantieri, a quelle dei dipendenti di Irisbus e dei lavoratori di Termini Imerese, due stabilimenti del gruppo Fiat.
«Non è più tempo – sostengono Grasselli e Caramelle – di vagheggiare velleitari patti tra capitale e lavoro, perché sono troppi i conflitti aperti. La vicenda Fiat, poi, è emblematica: il Governo, invece di approntare una vera politica industriale e di pretendere impegni certi dal gruppo di Torino e Detroit, avvalla le richieste dell’azienda di eliminare diritti fondamentali e di limitare drasticamente la democrazia sui luoghi di lavoro, dimenticando che la crescita economica in Italia si è fondata negli anni ’60 proprio sulla centralità delle lotte per la dignità del lavoro e sull’estensione della democrazia anche in fabbrica. È quindi fondamentale partecipare alla manifestazione del 15 ottobre per ribadire il ruolo centrale dei lavoratori come catalizzatori delle lotte, che a diverso titolo e con diverse modalità – da quelle dei migranti a quelle delle donne, da quelle per la tutela dell’ambiente a quelle per la pace, fino a quelle degli studenti per una scuola pubblica di qualità – stanno infiammando anche il nostro Paese».

Filcams Fiom Trento

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Il 15 ottobre indignati in piazza

Un’assemblea piena di ragazzi e ragazze, il programma di una mobilitazione per i beni comuni, per lo stato sociale, per il lavoro: per cambiare la politica e soprattutto questa classe politica. Non sembrava neanche di stare nella depressa Italia, ieri, all’ex cinema Palazzo occupato di San Lorenzo. Gli «indignati» infatti, e cioè i movimenti, gli studenti e i ricercatori, gli attori e tecnici del Teatro Valle, la Fiom, politici moderni e sburocratizzati come Luigi De Magistris hanno un programma ambizioso: ridare ossigeno al nostro Paese ribaltando la logica della crisi e del debito, che dovrebbe farci digerire tutti i tagli, e ripartire per una vera alternativa. Non solo far cadere Berlusconi, ma costruire un futuro a partire dalle esperienze dell’ultimo anno: dalla manifestazione Fiom del 16 ottobre 2010 a quelle degli studenti e delle donne contro gli orrori dell’«utilizzatore finale», fino alle ultime amministrative e ai referendum. Un magma vivo e appassionato, variegato ma unito, che in Italia si raccoglierà il prossimo 15 ottobre, per una grande manifestazione a Roma.
Posta così, come tante cose a sinistra, potrebbe sembrare anche il festival delle utopie, ma non a caso gli organizzatori dell’assemblea di ieri hanno voluto ancorare le prossime mobilitazioni, a partire da quella del 15 ottobre, a quanto di più concreto e positivo abbiamo oggi in Italia, la Fiom appunto, con i suoi operai quotidianamente in lotta con la crisi, la Fiat e le altre imprese, e l’esperienza – difficilissima ma entusiasmante – di un amministratore come De Magistris, che in una realtà dura come Napoli tutto può tranne che fermarsi a sognare. «I partiti di oggi nun c’a fannu», dice tra gli applausi il sindaco di Napoli, auspicando una nuova politica che peschi dai cittadini e dai movimenti la linfa per l’azione. E Maurizio Landini, il segretario della Fiom, dice che «c’è un attacco senza precedenti al lavoro e alla democrazia», e che «se la Fiom sarà in piazza con i movimenti per cambiare la politica, gli studenti e i precari devono sostenere gli operai nella loro battaglia per il contratto nazionale e per la cancellazione dell’articolo 8, perché la minaccia all’articolo 18 e la derogabilità dei contratti e delle leggi è una minaccia per tutti»………….

Da Il Manifesto

Leggi la mozione conclusiva dell’assembela di sabato 24 settembre

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In piazza contro la crisi, per l’alternativa

NOI la crisi non la vogliamo pagare!

Le manovre, di chiaro stampo classista, proposte dal governo vanno a colpire lavoratori, giovani e pensionati. Attaccano lo stato sociale tagliando sanità e servizi sociali, strozzano i comuni, privatizzano i beni comuni nonostante la vittoria referendaria, ma salvano le banche, gli speculatori, le imprese che fanno profitto, i grandi patrimoni e le varie caste presenti in Italia.
Quello di oggi è uno sciopero giusto e necessario per far sentire la voce di protesta di quanti hanno sempre pagato e di quanti sono indignati per una manovra iniqua ed antipopolare e che segna una svolta nell’attacco allo stato sociale e ai diritti collettivi a partire dal contratto nazionale di lavoro.
Ma la giusta protesta ed indignazione nei confronti della manovra governativa non deve impedirci di guardare a come la nostra provincia, in questi anni, ha usato la propria autonomia.
Sanità: con il 1 ottobre si pagherà il ticket sul pronto soccorso, 50 euro per i codici bianchi e verdi, una scelta che nella realtà colpisce le fasce più deboli della popolazione. E mentre taglia i finanziamenti agli ospedali periferici la giunta provinciale delibera la costruzione del nuovo ospedale che rischia di essere un doppione del S.Chiara con costi enormi per la collettività;
Casa:se da una parte la già criticabile privatizzazione dell’ITEA e le direttive della giunta non hanno portato miglioramenti alle fasce più bisognose (i famosi 9.000 alloggi promessi restano una chimera), dall’altra gli affitti e il costo delle case continuano a crescere per colpa di una politica complessiva sulla casa che mira più ad aiutare i costruttori e i grossi proprietari che i cittadini in cerca di alloggio;
Scuola: oltre ai finanziamenti alle scuole private, fra i più alti d’Italia, il governo provinciale ha usato le risorse per la scuola non per progetti di crescita culturale e formativa ma per un piano sull’edilizia scolastica a favore delle lobbie edilizie;
Lavoro: anche in Trentino l’80% delle assunzioni sono precarie, aumenta vertiginosamente il lavoro interinale e a chiamata. La stessa provincia utilizza a piene mani i contratti a termine e le collaborazioni mentre aumentano la disoccupazione giovanile ed il lavoro nero. La stessa riforma degli ammortizzatori sociali viene discussa in gran segreto, escludendo i soggetti non istituzionali, trascura le esigenze dei giovani e degli studenti a partire dal reddito di cittadinanza.
Base militare di Mattarello, TAV e Metroland: in una fase in cui le risorse calano sensibilmente e l’autonomia trentina è sotto attacco non possiamo non denunciare che la PAT finanzia la costruzione di una base militare e vuole spendere miliardi per la costruzione di opere inutili e dannose coma la nuova linea ferroviaria del Brennero e la rete Metroland.
Vogliamo che queste immense risorse siano destinate a sanità, scuola, formazione, lavoro, assistenza alle fasce deboli, reddito di cittadinanza e interventi a sostegno di un’economia che deve essere orientata alla produzione di beni e servizi socialmente utili.
Chiediamo e ci chiediamo: a cosa serve la nostra autonomia se si fanno le stesse politiche neoliberiste come nel resto d’Italia?
Noi oggi siamo in piazza per dire NO ad una manovra nazionale di natura antisociale e antidemocratica, ma anche per rivendicare che l’autonomia sia usata per rispondere ai nuovi e vecchi bisogni dei cittadini e non a quelli delle lobbies di potere presenti in Trentino.
Invitiamo tutti a costruire una mobilitazione permanente per cacciare il governo Berlusconi e aprire una nuova fase, e per creare anche in Trentino un percorso unitario di opposizione sociale alla crisi che ci porti a Roma il 15 ottobre nella giornata europea dell’indignazione popolare.

Per organizzarci e per discutere di questo percorso comune vi invitiamo
giovedì 15 settembre ore 20.30 al Centro sociale Bruno.

Uniti contro la crisi, uniti per l’alternativa

Trento, 6 settembre 2011

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