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Azienda speciale per gestire acqua e rifiuti

Grazie alle mobilitazioni dei cittadini e dei movimenti tutte e tutti insieme abbiamo difeso e salvato i servizi idrici dall’ondata di liberalizzazioni prevista dal Decreto Monti del 20/1/2012.
La gestione dei rifiuti invece passa ai privati sancendo cosi una violazione del voto referendario del giugno scorso.
Il decreto Monti va nella direzione di privatizzare un servizio importante per sostenere la scelta degli inceneritori, messi in discussione dai movimenti di protesta, ma soprattutto dalla raccolta differenziata, che in Trentino ha raggiunto il 70%.
Nei mesi scorsi i Comuni di Trento e Rovereto hanno confermato, seppure con proposte diverse, la strada della sostanziale privatizzazione del sistema idrico e dell’igiene urbana in quanto le gestioni “in house” attraverso le Spa pubbliche e le esternalizzazioni sono comunque assoggettate al diritto privato perché sono vincolate alle regole del diritto commerciale e al massimo profitto.
Per quanto riguarda i lavoratori si apre la prospettive di abbassamento complessivo del loro salario, dei loro diritti e possibili licenziamenti. L’acqua è un BENE COMUNE troppo prezioso per lasclarlo in mano ai privati e/o alle multiutility, i cui scopi sono quelli di fare profitto e non di fornire un servizio da garantire universalmente a tutti noi indipendentemente dalla nostra ricchezza.
La Provincia di Trento ha competenza legislativa primaria in materia di servizi pubblici locali e quindi può opporsi ai decreti di Monti facendo valere, per una volta realizzando l’interesse collettivo, la nostra Autonomia per difendere non solo il servizio idrico ma tutti i servizi erogati alla collettività.
Sia per dare applicazione al voto dei cittadini trentini che hanno votato perché l’acqua sia gestita solo in forma realmente pubblica, sia per garantire i diritti occupazionali, salariali e normativi degli attuali dipendenti coinvolti nella riorganizzazione aziendale, abbiamo proposto che il servizio idrico e quello dell’igiene urbana siano gestiti da un’unica azienda speciale costituita in forma consorziata dai 17 comuni oggi serviti da Dolomiti Energia.
AI fine di rilanciare e chiarire questa nostra proposta abbiamo organizzato un’assemblea pubblica con la presenza di Alberto Lucarelli (assessore ai beni comuni di Napoli, città dove la gestione dell’acqua è stata ripubblicizzata a seguito del referendum attraverso lo strumento dell’azienda speciale) per il giorno

Martedì 31 gennaio 2012 ad ore 20,00

presso la sala di rappresentanza della Regione,

in Piazza Dante 15 a Trento

Saranno presenti come relatori

ALBERTO LUCARELLI, assessore Comune di Napoli

un rappresentante dell’Azienda municipalizzata di Tione

l’assessore alla Cultura del Comune di Tassullo Marco Benvenuti.

La battaglia per fare rispettare il voto popolare e quella per garantire i diritti dei lavoratori di Dolomiti Energia sono una sola lotta e quindi diventa importante che ilavoratori ed i cittadini sappiano essere protagonisti del loro futuro.
Diritti, dignità, occupazione, salario e difesa dei beni comuni sono strettamente collegati da una parola: democrazia.
Per questo vi chiediamo di partecipare all’assemblea pubblica per dire che il vento delle liberalizzazioni non può cancellare gli esiti referendari, diritti e dignità dei lavoratori e dei cittadini.

Comitato per l’acqua pubblica  – Assembela per i Beni Comuni

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Troppa nebbia in questa trattativa

Non c’è stata nessuna condivisione degli obiettivi proposto dal governo. Questa la dichiarazione di Susanna Camusso al termine del primo incontro con Elsa Fornero sulla riforma del lavoro. Ma questo non dirada le nebbie che offuscano pesantemente questa trattativa, anzi le ultime dichiarazioni del ministro Fornero, sono la controprova che siamo in totale confusione si come far digerire ai lavoratroi la pretesa prioncipe del padronato italiano: la cancellazione dell’articolo 18.
Da quanto si apprende dalla stampa il Governo, ha messo sul tappeto una serie di norme restrittive sulla Cassa integrazione e slle nuove assunzioni che aprono la strada per modificare, o almeno, aggirare l’articolo 18 che vieta i8 licenziamenti senza giusta causa.
Preoccupa che nelle dichiarazioni congiunte dei tre segretari confederali al termine dell’incontro non si parli di cancellare l’articolo 8 della manovra finanziaria di settembre 2011 che permette alle aziende di derogare alle norme previste dai Contratti nazionali di lavoro. Una norma sulla quale Marchionne ha costruito l’accordo separato che “espelle” la Fiom da tutte le aziende del gruppo Fiat.
Purtroppo Marchionne ha fra i suoi tifosi il Prof. Monti il quale nel decreto sulle liberalizzazioni ha inserito la possibilità delle aziende di scegliersi il contratto meno costoso. Quindi nel mentre Fornero dialoga, Monti procede a colpi di decreto a smantellare diritti e Contratti Nazionali.
Ma facciamo attenzione, se Montezemolo può applicare ai suoi futuri dipendenti un contratto fortemente penalizzante sul salario, normativa ed orario è perché le categoria di riferimento di Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato questo accordo truffa.
Per questo resto fortemente preoccupato sui pericoli di una trattativa che viaggia su tre binari. Da un parte Cgil Cisl e Uil fingono di trattare dall’altro le imprese fanno accordi al ribasso con i sindacati aziendali e territori (Fiat, Finmeccanica, ecc) e il professore procede quatto quatto a spianare la strada ai vari Marchionne di turno.
In questo paese dove le ingiustizie sociali si acuiscono drammaticamente ogni giorno e dove i diritti più elementari vengono fatti diventare dei “privilegi dei lavoratori anziani” si fa sempre più assordante il rumore di fondo di quanti stanno minando alle fondamenta il diritto del lavoro e di cittadinanza.
Difendere il lavoro come collante del patto sociale su cui si fonda la Costituzione ed il sistema democratico significa dare voce e prospettiva a quanti oggi lottano per difendere l’occupazione, la legalità in questo paese in cui evasione fiscale e mafie la fanno da padroni.
Per questo la Cgil deve porre da subito, al tavolo della trattativa, la questione dell’articolo 8 e di tutti gli accordi che consentono di derogare in peggio rispetto alla contrattazione collettiva nazionale.
Pretendere la cancellare dell’articolo 8 come condizioni minima affinché il diritto Costituzionale prevalga sulla protervia della Fiat. Infatti, come l’avvocato lo sceglie il cittadino e non il giudice , nello stesso modo il sindacalista lo deve scegliere il lavoratore, non l’azienda.
Questo è la grave e preoccupante ferita alla democrazia ed al diritto Costituzionale fatto con l’accordo separato della Fiat. Un accordo firmato dalle categorie metalmeccaniche di Cisl e Uil e che pesa come un macigno al tavolo confederale. Un macino che la Camusso deve affrontare e non nascondere dietro la ricerca affannosa di un’unità sindacale che non esiste.
Noi l’11 febbraio saremmo in piazza a Roma a fianco della Fiom, sosteremmo la campagna “vogliamo la Fiom in Fiat” e lotteremo con l’ostinata determinazione di chi sa di essere dalla parte giusta della barricata.
Noi saremmo a fianco di tutti quei lavoratori che rivendicano il lavoro, come diritto e non come concessione, che non vogliamo morire di lavoro, che chiedono di poter esercitare i diritti sindacali sul posto di lavoro, che chiedono dignità e riconoscimento per il lavoro svolto.

La redazione di Alternativa per i beni Comuni

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SI dice acqua, si legge democrazia

APPELLO

“GIU’ LE MANI DALL’ACQUA E DALLA DEMOCRAZIA!”

Il 12 e 13 giugno scorsi 26 milioni di donne e uomini hanno votato per l’affermazione dell’acqua come bene comune e diritto umano universale e per la sua gestione partecipativa e senza logiche di profitto.
Le stesse persone hanno votato anche la difesa dei servizi pubblici locali dalle strategie di privatizzazione: una grande e diffusa partecipazione popolare, che si è espressa in ogni territorio, dimostrando la grande vitalità democratica di una società in movimento e la capacità di attivare un nuovo rapporto tra cittadini e Stato attraverso la politica.
Il voto ha posto il nuovo linguaggio dei beni comuni e della partecipazione democratica come base fondamentale di un possibile nuovo modello sociale capace di rispondere alle drammatiche contraddizioni di una crisi economico-finanziaria sociale ed ecologica senza precedenti.
A questa straordinaria esperienza di democrazia il precedente governo Berlusconi ha risposto con un attacco diretto al voto referendario, riproponendo le stesse norme abrogate con l’esclusione solo formale del servizio idrico integrato.
Adesso, utilizzando come espediente la precipitazione della crisi economico-finanziaria e del debito, il Governo guidato da Mario Monti si appresta a replicare ed approfondire tale attacco attraverso un decreto quadro sulle strategie di liberalizzazione che vuole intervenire direttamente anche sull’acqua, forse addirittura in parallelo ad un analogo provvedimento a livello di Unione Europea che segua la falsariga di quanto venne proposto anni addietro con la direttiva Bolkestein. In questo modo si vuole mettere all’angolo l’espressione democratica della maggioranza assoluta del popolo italiano, schiacciare ogni voce critica rispetto alla egemonia delle leggi di mercato ed evitare che il “contagio” si estenda fuori Italia.
Noi non ci stiamo.
L’acqua non è una merce, ma un bene comune che appartiene a tutti gli esseri viventi e a nessuno in maniera esclusiva, e tanto meno può essere affidata in gestione al mercato.
I beni comuni sono l’humus del legame sociale fra le persone e non merci per la speculazione finanziaria.
Ma sorge, a questo punto, una enorme e fondamentale questione che riguarda la democrazia: nessuna “esigenza” di qualsivoglia mercato può impunemente violare l’esito di una consultazione democratica, garantita dalla Costituzione, nella quale si è espressa senza equivoci la maggioranza assoluta del popolo italiano.
Chiediamo con determinazione al governo Monti di interrompere da subito la strada intrapresa.
Chiediamo a tutti i partiti, a tutte le forze sociali e sindacali di prendere immediata posizione per il rispetto del voto democratico del popolo italiano.
Chiediamo alle donne e agli uomini di questo paese di sottoscrivere questo appello e di prepararsi alla mobilitazione per la difesa del voto referendario.
Oggi più che mai, si scrive acqua e si legge democrazia.

Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua

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Autonomia e costi della politica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota da parte di Sandro Giordani di Villa Lagarina.
La redazione

Ma che cosa c’entra l’Autonomia speciale del Trentino-Alto Adige con i costi della politica!

Ribadito che l’ Autonomia, quella delle due provincie di Trento e Bolzano va difesa da chiunque la mette in discussione; in questo momento di grandi difficoltà economiche registro che sono in molti, dentro e fuori il Trentino, a volerla tagliare; lo stato sociale, il sistema istituzionale ed economico della nostra Regione va salvaguardato e difeso senza tentennamenti.
Detto questo, relativamente ai recenti articoli apparsi sul Corriere della Sera e sul Sole 24 ore che hanno tra l’altro messo in discussione la validità dell’autonomia speciale di cui gode il Trentino, hanno pure messo in evidenza la questione dei costi della politica che in Trentino non è da meno di altre regioni a statuto straordinario come per esempio la Sicilia e la Valdaosta che detengono il primato assoluto in fatto di spesa pro capite dei costi della politica; sotto questo profilo la nostra Provincia si presta a giustificate critiche oltre che a strumentalizzazioni interessate.
La risposta della Giunta provinciale, per bocca di Dellai e del suo Vice Pacher, evita però l’argomento facendo finta che la questione dei costi della politica in Trentino non esista.
Ma come fanno a non rendersi conto questi nostri amministratori provinciali che sono proprio i costi della politica presenti a tutti i livelli istituzionali del Trentino che prestano il fianco alle più disparate critiche e che mettono in discussione proprio quello che ci è più caro, cioè la nostra autonomia speciale?
E’ forse utopia pensare che un giorno i nostri consiglieri provinciali possano percepire indennità pari a quanto ricevono i consiglieri dei Laender tedeschi o di altri paesi d’Europa? E’ forse demagogia sperare che un sindaco, come per esempio quello di Rovereto o di Trento percepisca un po’ meno del sindaco di Verona o di altre città d’Italia molto più grandi delle nostre due sopra citate?
Queste mie aspettative sono largamente condivise e non sono, come spesso vengono definite con fastidio, frutto della cosiddetta “antipolitica” , tutt’altro: io penso che la politica trentina dovrebbe riappropriarsi di quello spirito di servizio che è stato il vanto per tanti anni della nostra comunità. Il Trentino dovrebbe togliere qualsiasi alibi a coloro i quali, dentro e fuori la nostra Provincia, predicano e lavorano contro la nostra autonomia.

Sandro Giordani

Villa Lagarina

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L’acqua e i servizi devono essere pubblici

Il Comitato Trentino per il sì ai referendum sull’acqua pubblica dopo la grande vittoria del SI nel referendum del 12 e 13 giugno ritiene importante continuare la battaglia affinché il servizio idrico e gli altri servizi pubblici locali siano erogati anche in Trentino attraverso forme di gestione sostanzialmente e non solo formalmente pubbliche: e perciò esclusivamente attraverso le gestioni comunali dirette associate all’interno delle Comunità di Valle oppure attraverso le aziende speciali di valle o gli enti di diritto pubblico (i consorzi tra i Comuni).
Quanto sta avvenendo in questa Provincia ad esempio sui temi dell’acqua e dei rifiuti (vedi gli orientamenti dei Comuni di Trento e Rovereto) va invece in senso manifestamente contrario alle indicazioni politiche emerse dalla consultazione referendaria.
Affidare infatti la gestione del servizio idrico o dello smaltimento dei rifiuti a società per azioni miste a prevalente capitale pubblico (per es. Dolomiti Energia) o anche a società per azioni a totale capitale pubblico (per es. la nuova SpA verso cui spinge il governo provinciale) costituisce una grave conferma della volontà di privatizzare a tutti i costi l’ambito dei servizi pubblici locali. Invece di resistere alle pressioni dei Governi nazionali – come fa in altri casi, quando lo trova conveniente – la Provincia di Trento cede alla nuova ondata di privatizzazioni che nel paese vuole sovvertire il risultato del referendum, non difende le gestioni comunali in economia (che pure sono più dell’88% e servono il 55% dei residenti), fa finta di ignorare che anche le nuove SpA di totale proprietà pubblica – al di là delle apparenze – sono soggetti di natura privata tenuti ad operare sul mercato per conseguire profitti e comunque vanno ad integrare un sistema di gestione non trasparente, non controllabile, clientelare, che ha soffocato e inquinato profondamente tutto il meccanismo dell’amministrazione dei servizi pubblici.
Per queste ragioni, tra l’altro, il Comitato con la lettera in allegato respinge l’invito a discutere una delle tante iniziative che in Provincia vanno verso la negazione del risultato del referendum del giugno 2011: si tratta nel caso particolare del disegno di legge n°219/2011 presentato da parte del PDL, che risulta fortemente peggiorativo della normativa provinciale vigente e contiene affermazioni per noi inaccettabili sul senso del percorso referendario.

Il Comitato Trentino per il sì ai referendum sull’acqua pubblica.

Francesca Caprini, Gianfranco Poliandri, Stefano Bleggi, Francesco Porta, Ezio Casagranda

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Fornero: ritorno al passato

E’ partita alla grande la campagna sulla necessità di modificare l’articolo 18 e il mercato del lavoro. Monti, Napoliano e la Fornero si stanno sperticando nel battere la grancassa contro i “privilegiati” del lavoro.
Proclamano che bisogna dare lavoro ai giovani, risolvere il problema della precarietà e affinchè questo si possa realizzare bisogna mettere mano all’articolo 18 mettendo così fine al dualismo nel mercato del lavoro, fra chi è tutelato dagli umori del padrone da tutta una serie norme (in testa l’art. 18), e chi è schiavo ballerino della precarietà a vita assicurata da oltre 40 forme contrattuali decise dai governi di questi ultimi 20 anni.
Appare vergognoso che da parte di questi professori nessuno ricordi che dopo 15 anni di precarietà (pacchetto Treu e legge 30) l’occupazione non solo non è aumentata, ma i giovani disoccupati hanno raggiunto quota 30% dei senza lavoro, nonostante gli oltre 40 tipi contratti atipici.
Per questo non riesco a capire cosa c’entra l’articolo 18 con la lotta alla precarietà. L’art. 18 (che vieta il licenziamento senza giusta causa e obbliga il reintegro o il pagamento di un indennizzo per il lavoratore ingiustamente licenziato) si applica alle imprese con più di 15 addetti. Tra questi, ne sono esclusi tutti coloro che hanno un contratto precario (interinale, a termine, collaborazione, stage…). Inoltre, con la legge 223 del 1991, sono stati introdotti i licenziamenti collettivi tramite l’istituto della mobilità e con il sistema degli appalti si può licenziare anche senza questa norma come insegna il licenziamento degli 800 lavoratori dei treni notturni da parte di Trenitalia.
Oggi non esiste un dualismo nel mercato del lavoro in quanto la precarietà in oltre 15 anni si è allargata come una metastasi tumorale, è divenuta strutturale, generalizzata e coinvolge l’intera esistenza del lavoratore. Le vicenda Fiat, Finmeccanica, Trenitalia o la Omsa sono esempi di come la precarietà è ormai parte anche di quei lavoratori che formalmente hanno un contratto a tempo indeterminato.
Questa situazione di generale precarietà esistenziale non può essere riformata ma solo cancellata abrogando i 40 contratti atipici ed estendendo l’articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti.
La cancellazione della precarietà sarà un grande contributo alla valorizzazione delle professionalità dei lavoratori le quali, accompagnate da percorsi formativi incostanza di reddito, possono dare un contributo, non indifferente alla crescita della competitività delle imprese italiane.
Purtroppo, anche a causa delle debolezze sindacali, si deve registrare che se la precarietà non è servita per dare lavoro ai giovani è però stata utilizzata dai padroni per rendere normali, anche in Italia, i salari di fame, alla greca, sia per i lavoratori garantiti che per i lavoratori precari.
Le proposte che oggi vengono messe sul tappeto dalla Fornero, con l’assistenza di Ichino, Boeri e Damiano, sembrano copiare quanto avviene nel mondo delle cooperative sociali con il socio lavoratore, dove il contratto di lavoro applicato è formalmente a tempo indeterminato, ma nella sostanza il grado di subalternità e di precarietà normativa e salariale è più elevato e generalizzato che altrove.
Davanti ad questa campagna di stampa, che senza nessun pudore continua a vendere un falso storico sulla flessibilità come strumento capace di creare occupazione, la sinistra deve unire la lotta per la difesa dell’articolo 18, con i temi della rappresentanza e della democrazia, una richiesta di miglioramento degli ammortizzatori sociali capaci di svolgere un ruolo attivo sull’occupazione a partire dall’allargamento dei contratti si solidarietà per evitare i licenziamenti, senza dimenticare la richiesta cardine di un reddito minimo garantito e slegato dal lavoro e accesso gratuito ai servizi comuni materiali e immateriali del sistema di welfare.

Ezio Casagranda

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Capitalismo e flexicurity

E’ singolare notare come nelle attuali condizioni di crisi economica causata dal capitalismo alcuni rappresentanti politici si ostinino a sostenere la necessaria riforma del mondo del lavoro. Qualcuno sostiene che i giovani non trovano lavoro perché chi ha ancora la fortuna di lavorare è un privilegiato, uno che non può lamentarsi. Se poi chi lavora è assunto a tempo indeterminato apriti cielo.
L’art. 18, l’unico barlume di speranza che impedisce al padronato di licenziare in maniera illegittima i lavoratori, resiste agli attacchi di liberali e riformisti, uniti nell’unico intento di “ammodernare” il diritto al lavoro degli altri. Ma ancora per poco: il governo Monti e il precedente governo Berlusconi ne hanno minato la base. Dopo la distruzione dell’art. 18 saremo tutti liberi di essere licenziati a discrezione del datore di lavoro. Ecco la parificazione di condizioni tra chi prima lavorava e chi un lavoro lo cercava: tutti licenziabili in qualunque momento.
La forza della classe lavoratrice ne risulta quindi indebolita e tutto questo va a vantaggio del padronato. La proposta di contratto unico di Ichino fatta propria anche da Dellai e Confindustria trentina, dove nessuno può dirsi certo del posto fisso, è il futuro che molti politici ed economisti auspicano. Ci saranno nuove opportunità di lavoro per i giovani e i disoccupati? Crescerà sicuramente la competitività fra lavoratori e aspiranti lavoratori e i procacciatori di manodopera avranno a loro disposizione massa grigia e muscolare da poter scegliere alle migliori condizioni.
Di chi? Del datore di lavoro, che sicuramente non ragionerà da buon padre di famiglia ma cercherà di cogliere il meglio al prezzo minore ovvero a discapito della forza lavoro. Creare divisioni fra i lavoratori è da sempre uno strumento che la classe padronale utilizza per poter controllare la forza della classe lavoratrice. Solo la classe lavoratrice forte e unita può determinare il proprio destino.
In un momento di crisi economica dove in più la classe padronale si sta muovendo per privatizzare lo stato sociale sottraendo quindi terreno all’universalità delle tutele di cui i cittadini hanno diritto, parlare di flexicurity, ovvero lavorare senza avere il posto fisso ma con la possibilità di trovare facilmente un altro impiego e di beneficiare di forti ammortizzatori sociali durante il periodo di disoccupazione, significa gettare fumo negli occhi del lettore e non avere il coraggio di affrontare la grande questione che sia i partiti conservatori sia quelli riformisti evitano: il conflitto tra gli interessi del padronato e quelli della forza lavoro, che nel capitalismo non troverà mai un punto di equilibrio. Nel capitalismo tutto ha un prezzo e quando tutto ha un prezzo anche la forza lavoro diventa merce in balia della crisi. Sta alla classe lavoratrice decidere di svincolarsi dal capitalismo.
I bisogni della collettività devono essere socializzati e garantiti dal settore pubblico; le norme che permettono il lavoro precario vanno eliminate perché tutti hanno diritto ad un lavoro a tempo indeterminato; le banche e le grandi industrie vanno pubblicizzate affinché i cittadini possano controllare il ciclo del credito e del debito e la produzione e distribuzione della merce e dei servizi. I grandi investitori hanno alimentato il debito pubblico e le banche hanno contratto debiti che dicono di non poter saldare: questi debiti se li paghino il padronato e le banche e lo stato non deve essere garante di questi debiti.

Mirko Sighel

Segretario del Circolo del Partito della Rifondazione comunista della Vallagarina

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Luxottica: No alla privatizzazione del welfare

Martedì 6 dicembre presso l’auditorium del Brione si è tenuta l’assemblea pubblica promossa dal Partito della Rifondazione comunista e da Alternativa per i Beni comuni in merito al welfare aziendale sperimentato alla Luxottica di Rovereto e recepito in altri importanti settori come quello della cooperazione.
Obiettivo della serata era quello di spiegare la pericolosità di un nuovo modello di stato sociale privatizzato che sta sostituendosi al modello di stato sociale pubblico che i lavoratori sono riusciti a conquistarsi a fatica in passato.
Il pensiero che il capitalismo vuole affermare è la centralità dell’impresa nella vita lavorativa e sociale del lavoratore legandone il destino all’andamento dell’azienda e del mercato.
Dopo aver discusso brevemente le novità introdotte dal decreto legge chiamato “Salva Italia” approvato domenica scorsa dal governo tecnico Monti e aver ricordato che anche in Trentino la crisi economica ha cominciato a far sentire i suoi effetti, si è passati ad affrontare l’argomento della serata.
Il primo tema trattato è stato quello riguardante i fondi sanitari e previdenziali integrativi privati che hanno il solo scopo di privatizzare importanti diritti universali che oggi sono garantiti dal settore pubblico.
La crisi economica attuale viene utilizzata come giustificazione per introdurre progressivamente la privatizzazione del welfare e l’assessore provinciale alla sanità Ugo Rossi si è già reso disponibile a discutere con le parti sociali la possibilità di delegarne la gestione sottraendola quindi al settore pubblico.
Le prestazioni sanitarie così come parte della pensione futura sono erogate da istituti privati legati a fondi di investimento che investono i contributi dei lavoratori in borsa con il rischio, in caso di fallimento, di bruciare i soldi e le tutele dei lavoratori. In secondo luogo è emerso che lo strumento della privatizzazione del welfare lega il lavoratore alle condizioni di salute dell’azienda: infatti in caso di licenziamento, oltre al lavoro perde diritti sociali fondamentali come il diritto alla salute o alla pensione.
Questa situazione aumenta la subordinazione del lavoratore ai voleri dell’azienda: quale lavoratore alzerebbe la testa quando sa che qualunque sua rivendicazione può mettere a repentaglio i diritti, attuali e futuri, suoi e dei suoi famigliari?
La stessa elargizione della azioni va nella direzione di far passare l’idea che i lavoratori sono partecipi della proprietà dell’azienda e quindi non puoi contestare quello che è anche tuo generando un pericoloso conflitto di interessi in caso di crisi o di esubero di personale.
Molto si è discusso sulle conseguenze dovute all’erogazione del salario sotto forma di buoni spesa. Nel mentre l’azienda risparmia i contributi previdenziali i lavoratori avranno la sorpresa di vedersi erogare una pensione inferiore rispetto al dovuto. Inoltre questo modello di pagamento del salario rafforza il concetto di un paternalismo caritatevole e umiliante che riporta alla mente tempi che non vogliamo si ripetano.
Nelle conclusioni è stato ribadito che queste azioni, queste concessioni unilaterali delle aziende altro non sono che regali tossici e velenosi per i diritti dei lavoratori.
Noi restiamo convinti che il capitalismo e il suo modello di sviluppo hanno fallito. Le conseguenze della crisi capitalistica vengono scaricate sulle spalle dei lavoratori e per questo si rende sempre più necessario un partito politico che ne sappia rappresentare le istanze e i bisogni.
Per il prossimo anno le previsioni di crescita del Pil sono negative: siamo quindi in piena recessione. Solo la classe lavoratrice organizzata può rispondere agli attacchi del capitale. E’ necessario quindi costruire un Partito di classe che sia di riferimento per i lavoratori e attraverso il conflitto sappia contrastare il padronato, controllare e dirigere la produzione della ricchezza e sconfiggere la logica del profitto, insita nel modello capitalista.

Rifondazione Comunista – Circolo Vallagarina

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